OFFESE SU UNA CHAT DI GRUPPO DI WHATSAPP: INGIURIA O DIFFAMAZIONE?

Sulle Chat di gruppo, la percezione dei messaggi offensivi da parte della vittima può essere contestuale o differita, a seconda che stia consultando o meno la chat in quel preciso momento: «nel primo caso, vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone quanti sono i membri della chat perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente; nel secondo caso si avrà diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente».

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. V, ud. 10 giugno 2022 (dep. 20 luglio 2022), n. 28675.

Il caso prende le mosse dal ricorso presentato da una signora, accusata di diffamazione per aver parlato male di un’altra donna su un gruppo di Whatsapp in cui era presente anche quest’ultima.

La vicenda era nata perché la donna offesa aveva restituito un cucciolo di cane che le aveva regalato la prima, in quanto non era in grado di accudirlo.

Con il ricorso in Cassazione, la condannata afferma che il giudice abbia sbagliato a classificare la condotta come diffamatoria. La ricorrente, infatti, sostiene che si tratti di ingiuria, in quanto la persona offesa era presente nella chat e aveva anche replicato immediatamente ai messaggi offensivi.

La doglianza, però, è infondata.

La Corte ha infatti chiarito che i messaggi inviati tramite le chat di gruppo di Whatsapp consentono l’invio contestuale dei messaggi a più persone: i destinatari possono quindi leggere tali messaggi in tempo reale e rispondere subito, oppure leggerli a distanza di tempo. Da qui il principio di diritto poco sopra riportato.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha verificato che nella chat c’era stato un botta e risposta iniziale da parte delle due donne, ma che successivamente la persona offesa non aveva più risposto. Quest’ultima, infatti, non era rimasta collegata tutto il tempo e, pertanto, non poteva ritenersi “presente” quando l’imputata aveva inviato la seconda parte dei messaggi. Secondo i Giudici di legittimità, quindi, tale ultima circostanza integra la diffamazione e non l’ingiuria.

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