L’immutabilità dei dati e la sottoscrizione con chiavi crittografiche asimmetriche avvicinano i dati salvati sulle catene di blocchi ai documenti informatici normati dal CAD e dal regolamento eIDAS. Questi dati possono assumere valore probatorio ex art. 2702 c.c. o vengono lasciati alla prudente valutazione del giudice?
L’utilizzo della tecnologia blockchain per la gestione della proprietà intellettuale è stato teorizzato da moltissima dottrina, questo perché la funzione di timestamp unita a quella di hash rendono lo strumento molto versatile per la certificazione della data certa e dell’originalità di un dato. Inoltre, questa tecnologia permetterebbe di eliminare le criticità dovute alla centralizzazione della tenuta dei registri (ad esempio la corruttibilità dell’ente ecc..) e alla natura del mezzo di prova (deterioramento, perdita ecc..). Tenendo conto che gli attuali mezzi di registrazione sono tutti quanti basati sulla data certa (ad esempio il deposito notarile, il deposito SIAE e la corrispondenza raccomandata), risultano evidenti i vantaggi in termini di costi e durabilità dell’applicazione della blockchain in questo campo. Infatti, recentemente la SIAE ha deciso di utilizzare i cosiddetti NFT (Non Fungible Token) per tutelare il diritto d’autore. Questo a detta dell’ente è il primo passo per l’adozione di una più ampia piattaforma basata sulla blockchain.
Qual è il valore probatorio di un dato inserito su una blockchain?
Una prima risposta potrebbe essere quella di prova atipica. Infatti, pur non essendo presente nell’ordinamento civile un articolo della portata del 189 c.p.p., la giurisprudenza (Trib. Reggio Emilia, 1° dicembre 2014, n. 1622), sottolineando la non esistenza di una norma di chiusura nel senso di un numerus clausus delle prove, pende per l’ammissibilità delle prove atipiche anche nel processo civile.
Se si condividesse questa impostazione che rifiuta la tipicità delle prove nel processo civile, si potrebbero ammettere in giudizio i dati salvati sulla blockchain alla stregua delle presunzioni semplici (ex art. 2729 c.c.) o degli argomenti di prova (ex art. 116 c.p.c.). Detto questo bisogna notare che la dottrina non è d’accordo sul fatto che basti una semplice presunzione o argomento di prova al fine di fondare il giudizio del giudice. Per una parte di essa, infatti, le prove atipiche avrebbero un’efficacia debole e dovrebbero essere confermate da altre prove tipiche. Dopodiché è chiaro che se le presunzioni sono connotate da un carattere tecnico o scientifico non banale avranno un peso maggiore. In questo caso il problema si sposta sul fatto che la blockchain essendo una tecnologia relativamente nuova e complessa, richiederà spesso che il giudice si avvalga di un consulente tecnico per valutare il peso probatorio di questo tipo prove. Chiaro è che bisogna avere una notevole fiducia circa la competenza in materia del consulente.
In conclusione, ai fini probatori non è da escludere l’ammissibilità dei dati salvati sulla blockchain, la loro forza probante, però, al momento risulterebbe alquanto incerta.
Se si pensa al funzionamento delle due tipologie principali di blockchain, ovvero quelle permissionless e quelle permissioned, ci si può spingere a compiere delle ulteriori considerazioni.
Nelle blockchain permissionless l’accesso è libero e gli utenti agiscono su di essa in maniera pseudonima completamente distribuita e decentralizzata. Per questa ragione non vi è una previa identificazione degli utenti partecipanti. Nonostante di solito queste piattaforme (si pensi a quella di bitcoin) garantiscano un alto livello di sicurezza, integrità e immodificabilità dei dati questi ultimi non potrebbero essere ricondotti, neanche in linea di principio, ai documenti informatici regolati dal CAD (art. 24 e 25) e dal regolamento eIDAS. Nonostante l’uso di firme a chiavi crittografiche asimmetriche sia intrinseca al funzionamento della blockchain, anche di tipo permissionless, esse non garantendo in primis l’identificazione del soggetto e in secundis dimostrando il solo possesso delle credenziali (e quindi non l’identificazione del soggetto agente) da parte di chi compie ad esempio una transazione, renderebbero ammissibili in sede di processo i dati salvati su di esse solo a titolo di prove atipiche.
Nelle blockchain permissioned l’accesso non è libero e i partecipanti sono precedentemente identificati. Anche il funzionamento dell’intero sistema risulta meno decentralizzato, infatti esso prevede, di solito, che i nodi siano in rapporto gerarchico fra di loro. La caratteristica di poter attribuire a nodi sovraordinati e identificati poteri validatori e il fatto che gli utenti siano identificati, potrebbe consentire una maggiore compliance alla normativa esistente in materia di firme digitali e documenti informatici dei dati salvati su una blockchain cosi realizzata. Qualora le firme crittografiche cosi realizzate risultassero essere paragonabili a quelle normate dal CAD (e di fatto lo sono perché il D.P.C.M. del 22 febbraio 2013 all’art. 55 istituisce il principio della libertà di creazione delle firme elettroniche avanzate; anche gli adempimenti tecnici previsti dall’articolo 57 potrebbero essere agevolmente rispettati) ci si troverebbe dinnanzi a dei documenti informatici che la legge considera, dal punto di vista probatorio, identici alla scrittura privata (ex art. 2702 C.c.). In questo caso i dati potrebbero avere l’efficacia di prova piena fino alla querela di falso.
Ritornando per un momento alla tutela del diritto d’autore, prevedere una blockchain permissioned per questo scopo sarebbe una soluzione innovativa ed efficiente.
In conclusione, bisogna notare che l’art. 8-ter del Decreto Semplificazioni 2019 ha introdotto nel nostro ordinamento le prime definizioni normative di blockchain e smart contracts. Bisogna rilevare che attualmente questa normativa risulta inattuata a causa della mancata emanazione, da parte dell’AgID, della normativa tecnica attuativa. L’inserimento di questa regolamentazione non operativa, a detta di alcuni, potrebbe aver introdotto una zona grigia riguardante l’utilizzo di questi strumenti innovativi. Infatti, essendoci una normativa specifica ma non attuata potrebbe non essere possibile utilizzare quella attualmente esistente (CAD, eIDAS) al fine di garantire una più certa tutela a chi utilizza sistemi e applicazioni basati sulla blockchain.
Il Legislatore inserendo l’articolo 8-ter nel calderone del Decreto Semplificazioni, invece di potenziare il fattore di innovazione, ha solo contribuito ad amplificare quell’incertezza che si voleva “semplificare”.
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