La Seconda Sezione Penale interviene a delimitare il campo di operatività del ne bis in idem, come tratteggiato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso di concorso di sanzioni penali e amministrative (Corte di Cassazione, sentenza n. 5048/21, depositata il 9 febbraio).
Truffa in danno della assicurazione. La vicenda da cui trae origine la pronuncia in commento è relativa ad una consumata truffa in danno della assicurazione, realizzata da un sub agente assicurativo che, mediante meccanismi fraudolenti, aveva proceduto alla stipula di contratti assicurativi con classe di rischio inferiore a quella reale, così da arrecare un ingiusto vantaggio ai beneficiari contraenti, lucrando sulle provvigioni, ed arrecando un danno alla compagnia assicurativa pari ai minori premi incassati ed aveva, altresì, stipulato numerosi contratti assicurativi secondo una scontistica ben superiore a quella applicabile. Avverso la sentenza di condanna di primo e secondo grado propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, assumendo la violazione dell’art. 649 c.p. e quindi la improcedibilità della azione penale, in quanto l’imputata era stata già destinataria delle sanzioni disciplinari applicate dall’autorità amministrativa all’esito di un procedimento disciplinare, in cui erano stati contestati i medesimi fatti oggi assunti a fondamento del procedimento penale e delle sanzioni in conseguenza irrogate in primo ed in secondo grado.
Il motivo di ricorso. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata violerebbe il dettato dell’art. 649 c.p.p. in relazione all’art. 4 prot. 7 CEDU in relazione alle sanzioni amministrative che erano già state applicate in sede disciplinare alla ricorrente medesima. Stante la natura particolarmente afflittiva delle sanzioni amministrative applicate, le stesse avrebbero natura sostanzialmente penale e, dunque, sarebbe illegittima la duplicazione che conseguirebbe all’esito del processo penale. Nel dettaglio, il ricorrente richiama i principi dettati della Corte Europea nella sentenza Grande Stevens contro Italia del 4 marzo 2014, che non sarebbero stati scalfiti dalla successiva pronuncia A e B contro Norvegia del 15 novembre 2016, che sarebbe relativa esclusivamente alle questioni di natura tributaria, trattate in tale ultimo caso. Osserva, altresì, il ricorrente come difetti fra il procedimento disciplinare e quello penale quella stretta connessione temporale e sostanziale, con la conseguenza che, in ossequio alla giurisprudenza CEDU, non sarebbe consentito un doppio trattamento sanzionatorio.
La natura non penale della sanzione disciplinare. Investita della questione, osserva la Cassazione come, in primo luogo, paia assolutamente condivisibile la valutazione operata dai Giudici di merito che avevano escluso che la sanzione disciplinare inflitta alla sub-agente (radiazione, peraltro non definitiva, dall’albo) potesse ritenersi di natura penale per il suo grado di afflittività. Troppo evidente la differente gravità della sanzione della radiazione rispetto alle elevate pene detentive previste per il delitto di truffa aggravata. Gli Ermellini richiamano, peraltro, un proprio precedente in cui si era esclusa la natura penale di una sanzione disciplinare irrogata ad un notaio, anche perché la sanzione disciplinare è destinata esclusivamente agli iscritti ad un ordine ed ha la precisa funzione di sanzionare il mancato adempimento ai doveri professionali. Ciò solo, dunque, sarebbe sufficiente ad escludere, anche nel caso di specie, la violazione dell’art. 649 c.p.p.
La rilevanza di uno stretto legame temporale e materiale. Tuttavia, i Giudici della Cassazione non si accontentano di tale rilievo, che invero sarebbe di per sé stato sufficiente a legittimare il rigetto del ricorso, ma approfondiscono i criteri dettati della giurisprudenza della cassazione, costituzionale e comunitaria onde chiarire il campo di operatività del dettato dell’art. 649 c.p.p. nei casi in cui entrambe le sanzioni possano avere natura penale per la loro afflittività. In particolare, osservano gli Ermellini come il lungo percorso giurisprudenziale sia ormai giunto ad un pacifico approdo affermando (da ultimo con la recente sentenza della Sez. 3, n. 22033 del 07.02.2019, dep. 20.05.2019) che il divieto di “bis in idem” non opera quando i diversi procedimenti sono avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, in quanto l’uno persegue finalità complementari all’altro, essendo prevedibile la duplicazione dei procedimenti, e allorché nel quantificare la misura della seconda sanzione possa tenersi conto della prima già irrogata, onde evitare un eccessivo carico sanzionatorio per il medesimo fatto. L’applicazione di tali principi nel caso di specie porta ad osservare l’esistenza di una connessione temporale fra i due procedimenti (penale e disciplinare), entrambi avviati nell’anno 2013, nonché la complementarietà delle finalità dai medesimi perseguite seppur connesse a diversi profili della condotta incriminata. Trattasi, insomma, di un unico sistema che offre risposte giuridiche che si completano reciprocamente senza che le sanzioni fra loro combinate rappresentino un onere eccessivo per il soggetto interessato e sanzionato. Le due sanzioni, quella penale e quella disciplinare, sono quindi misure complementari, ma rivolte al soddisfacimento di finalità sociali differenti, che nel loro complesso determinano una sanzione penale integrata che, da un lato, appare prevedibile e dall’altro del tutto proporzionata rispetto al disvalore del fatto.
Ne consegue, stante l’infondatezza anche degli altri minori motivi, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
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