L’avvocato del foro anconetano Giandomenico Frittelli, di fronte alla manifestazione degli anti-Dpcm arrivati oggi ad Ancona, smonta le loro ragioni in diverse parti con un’approfondita e chiara analisi
Presidio anti Dpcm, l’avvocato Frittelli: «Idee paradossali senza basi giuridiche e spiego perché»
Per verificare se l’iniziativa assunta dal c.d. “comitato operativo trasversale – Ora basta” abbia un fondamento effettivo o poggi invece su gambe di argilla, occorre preliminarmente prendere un poco di confidenza con alcuni concetti giuridici”. Inizia così l’avvocato del foro anconetano Giandomenico Frittelli che, di fronte alla manifestazione degli anti-Dpcm arrivati oggi ad Ancona, smonta le loro ragioni in diverse parti con un’approfondita e chiara analisi.
Intanto, è bene chiarire che un D.P.C.M. (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) è un atto normativo che contiene disposizioni perfettamente valide e vincolanti: l’unica differenza con una legge è che quest’ultima ha, appunto, natura legislativa (promana cioè dal Parlamento, espressione del potere legislativo), mentre il D.P.C.M. ha natura amministrativa (promana infatti dal Governo, espressione del potere esecutivo). Siamo quindi al cospetto di norme (amministrative) vincolanti per il singolo cittadino. E ciò non deve destare particolare meraviglia, se solo si pone mente al fatto che interi settori del diritto sono, in effetti, disciplinati attraverso atti amministrativi: il regolamento di attuazione del Codice della strada è di provenienza amministrativa. Ancora: i sindaci delle nostre città emanano continuamente provvedimenti amministrativi, perfettamente validi e vincolanti, che incidono quotidianamente sui più disparati aspetti della vita dei cittadini (regolamenti in materia di imposte sulla casa provengono dai nostri Comuni e nessuno mette in discussione la loro autorità. Si pensi, ad esempio, ai regolamenti sulla Tari e sull’Imu, tasse che comunemente paghiamo).
Chiarito quindi che i D.P.C.M. contengono norme giuridiche perfettamente valide e vincolanti e che gli stessi non violano alcuna norma, incastonandosi anzi perfettamente in quelle che – in “giuridichese” – noi chiamiamo le “fonti del diritto”, si può ora provare a comprendere per quali ragioni l’iniziativa in commento è destinata a cadere sotto il suo stesso peso (mediatico).
A quanto par di capire, si sostiene che i vari D.P.C.M. dovrebbero essere disapplicati “in autotutela” (?!) e si preannuncia che le forze dell’ordine (i singoli vigili urbani che spiccheranno le multe, ma ho sentito far richiamo financo alla figura del Prefetto) che “rifiuteranno di disapplicarli” verranno “denunciati in sede penale” e – a quel punto – saranno costretti a “difendersi pecunia propria” (ovvero con denaro proprio), in quanto l’ente di appartenenza non potrà garantir loro copertura economica. Il tutto, si dice, in favore di un’assunzione di responsabilità esclusiva in capo alle singole Regioni, per il tramite dei loro Presidenti (cogliamo qui l’occasione per ricordare che in Italia non esiste la figura del Governatore, non vivendo noi in uno stato federale), unici che avrebbero titolo per emettere norme vincolanti per i cittadini della singola Regione.
Ebbene, tale paventata iniziativa – invero dal sapore vagamente intimidatorio stando alle dichiarazioni che ho avuto modo di sentire (azione penale con richiesta di risarcimento danni, dalla quale i singoli agenti dovranno difendersi con conseguente dispendio economico) – è completamente carente di qualsivoglia fondamento sul piano giuridico. Ed infatti, disapplicare una norma perfettamente valida costituisce esso stesso un comportamento illecito: saremmo cioè di fronte al paradosso per cui il singolo vigile urbano che – ossequiando le richieste di questo “comitato spontaneo” – omettesse di fare la sanzione, commetterebbe egli stesso un reato (omissione di atti d’ufficio, art. 328 c.p.). Di più: per denunciare in sede penale qualcuno occorre che questi abbia commesso una condotta penalmente rilevante; il soggetto denunciato deve cioè aver commesso un reato. Ma, come chiarito, il pubblico ufficiale che applica il D.P.C.M. (ed eleva sanzione) non starebbe commettendo alcun reato, starebbe semmai esercitando un proprio dovere (ciò per cui viene pagato, con denaro pubblico peraltro).
Ed allora due sarebbero, a mio sommesso avviso, le dirette conseguenze derivanti da un’ipotetica gragnuola di denunce penali – questo è ciò che ha preannunciato il comitato “Ora basta” – a carico dei funzionari pubblici: da un lato, si avrebbe una congestione degli uffici delle Procure della Repubblica (già pesantemente affaticati); dall’altro lato, tutto si ridurrebbe ad altrettante pronunce di archiviazione. Una terza (poco piacevole) conseguenza potrebbe infine paventarsi all’orizzonte. Non si può cioè escludere che uno o più dei soggetti denunciati possano valutare di contro-denunciare i soggetti firmatari delle predete denunce, rappresentando a loro carico una ben più grave fattispecie criminosa. Infatti, attribuire un reato ad un soggetto che si sa essere innocente integra il reato di calunnia (art. 368 c.p.): fattispecie molto grave, punita con la reclusione da due a sei anni. Con la differenza che in questo caso, le Procure difficilmente potrebbero archiviare la c.d. notitia criminis, dovendo di contro procedere a carico dei querelanti, essendo la calunnia un reato procedibile d’ufficio.
In conclusione, nessun timore dobbiamo nutrire sull’efficacia del sistema di pesi e contrappesi che la nostra Costituzione ha saggiamente previsto a tutela del cittadino e delle proprie libertà. Non è un caso che la nostra carta costituzionale sia presa a riferimento in altre Nazioni, che stanno oggigiorno revisionando i propri assetti normativi. E proprio la nostra Costituzione dà facoltà a tutti (proprio a tutti!) di manifestare le proprie idee, scendere in piazza, dissentire: con l’unica limitazione di non ledere diritti altrui e non creare allarme sociale. Nei casi in cui alcuni diritti costituzionalmente riconosciuti (libertà di circolazione, art. 16 Cost.) si pongono in frizione con altrettanti diritti costituzionalmente protetti (tutela della salute, art. 32 Cost.), si pone la necessità di un loro contemperamento, a fronte del quale alcuni diritti (es. possibilità di spostarsi liberamente) possono subire delle temporanee compressioni per tutelarne altri (salute pubblica).
La raccomandazione che mi sento di dare è quella di evitare di coltivare fantasie giuridiche in settori di assoluta delicatezza e di rimanere concentrati (e coesi) nella lotta contro un nemico comune: lo dobbiamo a noi stessi ed alle quasi 40mila vittime che il Covid-19 ha già mietuto in Italia”.
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